L’evoluzione del mercato
Nella seconda metà degli anni ’90, le banche italiane hanno incrementato rapidamente l’utilizzo di raccolta. La quota percentuale sul totale del passivo è passata dal 20% al a quasi il 40% nell’arco di un decennio e l’incidenza sui depositi è passata dal 25 al 65%. Un’evoluzione così accelerata ha trovato origine nell’agire congiunto di due fattori. Da un lato, le più ampie possibilità operative concesse alle aziende di credito ordinario dal nuovo testo unico hanno reso opportuno un allungamento della scadenza media raccolta e un aumento del suo grado di stabilità, al fine di far fronte adeguatamente ad i nuovi impieghi a medio – lungo termine.
Dall’altro, le banche hanno dovuto cercare di rispondere alla perdita di competitività dei certificati deposito, e alle mutate preferenze dei risparmiatori, alla ricerca di alternative ai titoli di stato e disposti ad assumere livelli di rischio superiori rispetto al recente passato. Il flusso di nuove obbligazioni bancarie si è caratterizzato per l’esigibilità del numero di emissioni quotate in mercati regolamentati e per la massiccia offerta di titoli “strutturati” ovvero costruiti associando ad una obbligazione standard una combinazione di strumenti derivati,acquistati dal o venduti al risparmiatore.
L’utilizzo di strumenti di raccolta complessi e caratterizzati da componenti di rendimento aleatorie, spesso agganciate all’andamento dei mercati azionari, ha sicuramente risposto alle preferenze di investimento manifestate dagli investitori e alla consistente domanda di strumenti caratterizzanti da una combinazione di rischio/rendimento più elevata. D’altro canto, però, l’intrinseca difficoltà di valutazione di tali titoli, unita alla capacità informativa caratterizzante il mercato primario ed alla scarsa liquidità in sede di mercato secondario hanno consentito agli intermediari creditizi di reperire fondi e di acquistare strumenti derivati a copertura delle proprie esposizioni finanziarie a costi estremamente competitivi.
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