I mercati azionari durante la crisi (parte 3)
Nella prima metà del 2007 permangono sempre condizioni favorevoli sui mercati finanziari, nonostante comincino a manifestarsi le prime preoccupazioni per alcuni intermediari finanziari particolarmente esposti ai mutui ipotecari cosiddetti subprime. La crisi scoppierà poi ufficialmente quando a causa di due effetti combinati, da un lato un progressivo rialzo dei tassi di interesse e dall’altro una riduzione del valore degli immobili, determineranno una condizione di insolvenza da parte delle famiglie. Attraverso poi il processo della cartolarizzazione, la crisi si sposta presto da Wall Street alle borse di tutto il mondo; l’insolvenza delle famiglie americane determina un deprezzamento dei titoli cartolarizzati, fino ad azzerarne il valore stesso generando conseguentemente ingenti perdite per gli investitori istituzionali e le banche che li detenevano. E nonostante l’iniezione di liquidità da parte delle banche centrali, questa si ferma e si comincia a parlare di liquidity crisis. Il mercato azionario diventa l’unico luogo in cui è possibile trovare la liquidità necessaria per pagare i riscatti dei fondi comuni al sostegno dei veicoli usati nelle operazioni di cartolarizzazione. Gli istituti bancari prima e poi l’intero sistema entra a questo punto in crisi a causa della mancanza di liquidità: i governi intervengono con operazioni di salvataggio e misure straordinarie. Da qui in poi si assisterà alla nazionalizzazione della britannica Northen Rock ed al salvataggio della Bear Stearn, ma nonostante questi virtuosismi i fallimenti si susseguono con grande rapidità. L’apice della frisi si raggiunge in autunno, quando in poco più di una settimana il governo USA decide di sostenere Freddie Mac e Fannie Mae, le due principali istituzioni garanti di circa la metà dei mutui americani, ed Aig, la più grande compagnia assicurativa del mondo. Tutto ciò però avviene ad un prezzo, ossia la il “sacrificio” di Lehman Brothers, il cui fallimento da circa 613 miliardi di dollari è considerato il più grande della storia.
Invece, sul fronte europeo i listini di tutto il mondo perdono ovviamente decine di punti: ad esempio l’indice S&P500 da settembre 2007 a ottobre 2008 segna – 42%, il Nikkei – 26,5%. In questo contesto già grave tuttavia l’indice italiano riesce anche a fare peggio segnando un – 51,64% (Banca d’Italia, Bollettino economico n°55, gennaio 2009, pag. 38). Come appare ormai evidente la crisi da finanziaria diventerà presto reale, spostandosi principalmente sul settore manifatturiero ed automobilistico. Da qui in poi tutto dipenderà da quanto riusciranno a fare i governi e le autorità di vigilanza, che dovranno impegnarsi molto per cercare di ricreare quel clima di fiducia che consentirà al sistema di ripartire.
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