I mercati azionari durante la crisi (parte 2)
Questo periodo è molto importante in quanto è opportuno considerare la bolla tecnologica scoppiata nel 1999. Per la prima volta dopo nove anni di crescita le quotazioni dei titoli dell’indice telematico della borsa di New York crollano drasticamente (Nasdaq – 39%) contagiando in parte anche Wall Street con una perdita del 7%. Infine arriviamo nel pieno del periodo considerato, dove si assiste alla caduta delle Torri Gemelle, che provoca effetti consistenti ma non duraturi sull’andamento della borsa; ed a ciò si aggiunge una tendenza che pareva essere confermata già da tempo, ossia il rallentamento dell’economia americana. Nonostante però all’orizzonte si stia dipingendo uno scenario drammatico, gli utili si riducono, ma i prezzi dei titoli azionari non accennano a diminuire. Una mossa di controtendenza la si osserva nel 2002, quando l’economia reale mostra un timido segno di ripresa (+ 2,4%), mentre le quotazioni dei titoli si correggono al ribasso determinando quindi una riduzione (quasi dimezzamento) dello S&P500 rispetto al 2000. Le cause di questa disfatta sono da ricercare nei principali scandali finanziari che hanno coinvolto alcune tra le principali realtà industriali a partire da Enron, caso che ha dimostrato come le informazioni possano essere “maneggiate” al fine di creare delle aspettative sugli utili e sostenere i prezzi.
A livello europeo la situazione è molto difficile. Infatti la scoppio della crisi dei titoli tecnologici deprimi di molto i listini europei (che ora più che mai risultano legati a filo doppio con quelli americani): nel 2001 l’EuroStoxx perde il 34,5%. Il motivo di questa crisi è da ricercare nell’economia reale: sui listini europei pesano molto i cattivi andamenti dei singoli Paesi, nonché la inefficacia delle politiche economiche. A ciò si aggiunge che l’introduzione dell’Euro, obbligatorio a partire dal 2002, ha determinato un innalzamento dell’inflazione dunque una contrazione nei consumi.
2003 – 2006 (2007)
In questo triennio, grazie a politiche monetarie espansive (bassi tassi di interesse ed inflazione) da parte delle banche centrali, i listini ritornano in terreno positivo. Negli USA la ripresa è rapida e robusta, determinando una ripresa degli investimenti più o meno in tutti i settori. In modo particolare, prende slancio il settore immobiliare, dove crescono le richieste di mutuo e quindi i prezzi delle abitazioni; a questo si aggiunge il sempre più consistente legame con l’economia cinese.
In Europa invece le economie stentano un po’ a riprendersi a causa di vari fattori. In primis, l’apprezzamento dell’euro frena le esportazioni e i bassi tassi di interesse non riescono a far decollare la domanda. La situazione è decisamente più critica nel cuore dell’Europa, in Germania dove i bassissimi consumi delle famiglie impongono una ristrutturazione del sistema industriale. Ma presto questo mal contento si diffonde anche a livello europeo e questa situazione determina nervosismo sui mercati che sono influenzati più dagli andamenti settoriali che dallo scenario macroeconomico. Ma alla fine del triennio si avvertono i primi sentori: l’aumento del prezzo del greggio (principalmente dovuto alla sostenuta domanda del settore dell’energia), il rallentamento del settore immobiliare, il forte disavanzo degli Stati Uniti e l’assenza di risparmio da parte delle famiglie americane sono tutti elementi che determineranno uno squilibrio nel lungo periodo.
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