Negli ultimi anni, all’interno dei fondi comuni di investimento, si è registrata una crescita costante degli ETF (“Exchange Traded Funds”) (in italiano “Fondi indicizzati scambiati in Borsa”). Essi rappresentano dei particolari fondi di investimento che replicano fedelmente la composizione di un indice borsistico, di un settore economico o di un paniere di materie prime, realizzando di conseguenza la medesima performance dell’indice/paniere preso a riferimento.
Il primo ETF è stato introdotto nel 1993 replicando l’Amex statunitense. Successivamente, all’inizio del 2000, questi strumenti sono stati esportati nei principali mercati borsistici europei e hanno fatto la loro prima apparizione in Borsa Italiana nel 2002 (oggi a Milano ne sono presenti 116).
Come detto, gli ETF appartengono alla famiglia dei fondi comuni di investimento, l’accesso al fondo avviene tramite l’acquisto di una quota (generalmente anche di importo molto ridotto) e garantiscono una buona diversificazione dell’investimento. La principale differenza che li contraddistingue, rispetto ai normali fondi comuni di investimento, è relativa alla gestione del portafoglio degli investimenti, in quanto gli ETF sono fondi a “gestione passiva”, perché replicano la composizione ed il peso dei titoli appartenenti ad un certo indice, senza che il gestore del fondo compia attivamente operazioni volte a modificare la composizione del portafoglio di investimenti. Inoltre, il prezzo delle quote di un’ETF è noto in ogni momento sul mercato, di conseguenza esse possono essere velocemente scambiate sul mercato alla stregua di un titolo azionario.
Dal punto di vista fiscale nel caso di investitore privato, se si tratta di ETF quotati in Italia o in borse europee armonizzate, scontano una imposta sostitutiva del 12,50 % applicata direttamente dall’intermediario sui proventi distribuiti periodicamente.
Volendo elencare i principali punti di forza degli ETF si può affermare che essi garantiscono la diversificazione di un fondo comune di investimento, ma allo stesso tempo la liquidità di un titolo azionario, oltre ad assicurare, grazie alla “gestione passiva”, costi di gestione notevolmente ridotti (fino ad un quarto), rispetto ai normali fondi comuni di investimento. Per contro, gli ETF soffrono della mancanza di un comportamento attivo da parte del gestore volto a ridurre l’investimento in titoli non redditizi e a cogliere eventuali opportunità di investimento offerte dal mercato in un dato momento e presuppongo l’apertura di un deposito titoli, scontando le relative commissioni e l’imposta di bollo.
Volendo dare un’occhiata al rendimento medio registrato negli ultimi anni dagli ETF si può fare riferimento ad una ricerca, pubblicata nell’aprile 2010 su “Corriere Economia”, relativa alla comparazione tra la performance media conseguita, nel periodo 2005-2010, da un campione di fondi comuni di investimento obbligazionari e una selezione di ETF quotati a Milano. Dalla ricerca è emerso che per investimenti intorno ai 5.000 Euro, i fondi comuni obbligazionari hanno garantito un rendimento maggiore degli ETF (2,93 % contro 2,15%). Incrementando il capitale investito, a causa del peso crescente delle commissioni che grava sui fondi comuni di investimento ordinari, la relazione di convenienza si è invertita a favore degli ETF con un rendimento medio anche superiore al 3%. Mirco Gazzera
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