In alcuni precedenti interventi si è parlato di uno dei principi fondamentali della finanza: la diversificazione di portafoglio. Volendo riassumere brevemente il significato del termine è necessario premettere che esiste una distinzione tra rischio specifico di un investimento, il quale rappresenta il rischio connesso ad un singolo investimento e il rischio sistematico, il quale si riferisce al rischio derivante dall’oscillazione del mercato e che quindi è comune a tutti gli investimenti.
Detto questo, la diversificazione di portafoglio è una strategia di investimento che, attraverso la ripartizione del capitale disponibile, in diverse classi di attività (azioni, obbligazioni, liquidità, immobili, etc.) consente di ridurre fino ad annullare il rischio specifico dei singoli investimenti presenti nel portafoglio.
In altri termini, se investo l’intero capitale a disposizione nell’acquisto di una singola attività, il rischio al quale sono soggetto sarà quello dell’attività in cui ho investito. Al contrario, se investo il mio capitale in differenti attività, diverse per tipologia (azionari, obbligazionari, immobiliari), settore economico, etc., ciascuna con un diverso rischio specifico non correlato a quello delle altre, il rischio complessivo del mio portafoglio non è la somma o la media dei rischi specifici dei singoli investimenti, ma è inferiore. Questo è il vantaggio della strategia di diversificazione del portafoglio.
La realizzazione di una diversificazione efficace comporta la necessità di investire in un numero elevato di attività. Di conseguenza, l’investitore dovrebbe in primo luogo possedere una approfondita conoscenza degli strumenti finanziari e in secondo luogo impiegare molto del suo tempo ad analizzare le opportunità di investimento presenti sul mercato. Per questo motivo sono stati creati degli appositi soggetti che raccolgono capitali presso i risparmiatori investendoli, per loro conto, in differenti attività, mettendo in atto una elevata diversificazione di portafoglio.
I soggetti in questione sono i fondi comuni di investimento, i quali possono essere aperti se presentano un capitale variabile e consentono ai risparmiatori di richiedere il rimborso della propria quota o chiusi se permettono il rimborso della quota sottoscritta solo a determinate scadenze. Il meccanismo di un fondo comune di investimento (aperto o chiuso) prevede l’esistenza, oltre ai partecipanti al fondo: di una società di gestione che investe il capitale del fondo in differenti attività finanziarie, ottenendo il diritto a ricevere delle commissioni fisse e correlate alla performance realizzata, di una banca depositaria che custodisce il patrimonio del fondo e di una rete di vendita, costituita da banche e promotori finanziari che promuovono la sottoscrizione di quote del fondo comune.
L’aspetto più importante da considerare, nel momento in cui si decide di investire il proprio capitale nell’acquisto di una quota di un fondo di investimento aperto, è la natura degli investimenti nei quali può investire il fondo stesso. Assogestioni ha classificato i fondi in 5 classi primarie, a seconda della percentuale massima permessa di investimento azionario (il più rischioso): liquidità e obbligazionari (no azioni) bilanciati (min 10% max 90 %), azionari (min 70%) e flessibili (senza limiti).
Negli ultimi anni la prestazione dei fondi comuni è stata piuttosto deludente, spesso a causa delle commissioni elevate. L’argomento è stato approfondito in un intervento specifico di questa sezione.
Mirco Gazzera
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