Forse non tutti lo ricorderanno, ma ogni cosa ha avuto inizio da qui. È nel mercato immobiliare americano che è scoppiata la bolla all’origine della crisi globale che il mondo ancora stenta, più di due anni dopo, a lasciarsi alle spalle. Un elemento tutto interno come l’acquisto di case, poco correlato usualmente all’andamento dei mercati internazionali, di quello dei cambi in particolare, ha assunto in un contesto come quello attuale tale rilevanza che tutti vi guardano con attenzione.
Specialmente all’indomani di un risultato parziale, quello di maggio, che ha dato fiato alle cassandre del “double dip”, la crisi a forma di “W” della quale il secondo picco discendente è ancora da vedere. Certo, non siamo in presenza di un fiume in piena di ipoteche impossibili da estinguere, come accadde nel 2008, ma anche la scarsa movimentazione del mercato immobiliare è un indizio tutt’altro che apprezzato.
La vendita di nuove case a maggio è crollata del 32,7%, a un tasso annuo (aggiustato per tener conto della stagionalità, a quota 300mila dalle 446mila di aprile. Anno su anno un calo del 18,3 per cento. Un dato coinciso con la fine del credito fiscale sugli acquisti immobiliari, quindi in qualche misura previsto. Ma non in questa. Considerato che anche le vendite di case esistenti non ha mostrato buona salute un mese fa, la lettura su giugno delle cifre delle nuove abitazioni, in programma il 26 luglio, è attesissima. Con previsioni tutt’altro che entusiasmanti. È vero che è previsto u incremento a quota 320mila, ma stiamo parlando comunque di un dato che resterebbe al di sotto del record negativo precedente a quello fatto registrare il mese scorso: 338mila, datato settembre 1981.
Dopo le parole preoccupate del numero uno Fed, Ben Bernanke, al Congresso, ci vorrebbe ben di più per restituire un po’ di fiducia sul prossimo futuro ai mercati.
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