Le parole rassicuranti di Ben Bernanke di venerdì scorso sono servite a riaccendere un po’ di appetito per il rischio, mentre le mosse della Banca del Giappone di inizio settimana vengono ritenute troppo poco incisive per far calare lo yen in maniera significativa dai massimi. Così un semplice intervento a una conferenza ha potuto più di una mossa della banca centrale per innescare le vendite della propria moneta di riferimento.
Il numero uno della Fed ha assicurato che il sostegno alla ripresa sarà totale, fino a emettere, se necessario, più carta moneta. In barba ai rischi di inflazione che tale operazione può comportare. La Boj, invece, ha aumentato di 10mila miliardi di yen (da 20 a 30) i propri prestiti a basso tasso al sistema bancario.
I beneficiari di politiche monetarie super espansive sono, naturalmente, le monete più cicliche. Non solo l’euro, ma anche i dollari degli antipodi: neozelandese e australiano. Quest’ultimo, in particolare, che pure si è raffreddato leggermente nei confronti dello yen dopo la delusione per gli interventi giudicati poco efficaci di Tokyo, è atteso a una settimana di ottime performance. Anche nei confronti dei cugini “kiwi”.
Martedì sarà diffuso il dato sul deficit delle partite correnti, previsto in calo nel secondo trimestre da 16,55 a 6,5 miliardi di dollari. L’Australia è uno dei Paesi meno toccati dalla crisi economica in atto ormai da oltre due anni. L’economia “aussie” ha ben resistito e anche per il secondo trimestre è atteso (mercoledì) un buon dato sul Prodotto interno lordo: +0,9% nel secondo trimestre rispetto a quello precedente. Abbastanza, in un quadro generale dove la sfiducia verso le principali economie resta dietro ogni angolo, per fare della moneta di Sidney un’alternativa da tenere particolarmente d’occhio.
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