Federal Reserve tra voglia di rialzi e rischi per lo scenario USA
Il 2016 non ha certo rappresentato un ideale avvio per poter supportare il piano (a nostro giudizio, ambizioso) di rialzo dei tassi di interesse di riferimento da parte della Federal Reserve. La quale, invece, ha dovuto ben fare i conti con l’accumularsi di una lunga serie di segnali particolarmente sconvenienti (interni ed esterni), tali da dover costringere il FOMC a ridisegnare il quadro economico del mercato di appartenenza, e cercare – faticosamente! – di comprendere se il rallentamento osservato alla fine del 2015 sia realmente transitorio, come inizialmente si era portati a pensare, o se invece possa proseguire anche nel 2016, con ciò che ne consegue sulle strategie di politica monetaria a stelle e strisce.
Ad ogni modo, in nostra opinione, per il momento occorre ricordare come buona parte dei timori espressi dai mercati finanziari siano ancora eccessivi, considerato che sulla base dei fondamentali la valutazione della ripresa rimane positiva. E, dunque, non è detto che la Fed non possa scegliere di accompagnare una ripresa pur incerta, attraverso l’applicazione di strumenti che possano supportare lo sviluppo dello scenario locale, pur modificando il proprio sentiero di politica monetaria. In altri termini, è effettivamente possibile che la Fed proceda a una revisione – anche radicale – delle proprie posizioni, ma è quasi impossibile che scelga di invertire il sentiero della ripresa economica, salvo clamorosi peggioramenti dei dati.
Quali fattori hanno pesato sull’avvio del 2016
Introdotto quanto precede, cerchiamo di soffermarci brevemente su quali siano stati i principali fattori in grado di condizionare negativamente l’evoluzione delle politiche monetarie della Fed.
Il primo è naturalmente ascrivibile al calo del prezzo del petrolio, che ha ceduto quasi un terzo del proprio valore da inizio anno. L’effetto è stato positivo, pur modestamente, sulla crescita americana, ed ha rallentato il rialzo dell’inflazione (evento che, naturalmente, non è piaciuto alla Fed). Tuttavia, guai a ritenere eccessivamente gravoso questo elemento per il condizionamento delle strategie monetarie: l’effetto “pessimismo” sulla crescita è verificabile, ma non in modo così ingente come ritengono alcuni.
Il secondo elemento che sta condizionando la view finanziaria è invece il mercato azionario, che ha perso oltre il 10% – nelle piazze statunitensi – nei primi 50 giorni dell’anno. Anche in questo caso, giova ricordare come in realtà la Federal Reserve non ha quasi mai dato seguito a reazioni improvvise in seguito ai movimenti del mercato azionario, a patto che non si verifichino contemporanei segnali come, ad esempio, la persistenza di condizioni finanziarie particolarmente restrittive, crisi di liquidità, ecc.
Come stanno (realmente) gli Stati Uniti
Se dunque petrolio e azionario non sembrano essere i moti propulsori principali per orientare le scelte Fed (ma attenzione, non saranno certamente variabili indifferenti!), rimane da capire in misura più rilevante quale sarà l’evoluzione dei dati macro. I quali, anticipiamo, sembrano confermare uno scenario di crescita moderata: tant’è che a fronte del pur deludente rallentamento della crescita del Pil (+ 0,7% trimestrale a/a nell’ultimo periodo del 2015), segnali positivi sono stati forniti dal mercato del lavoro (+ 280 mila occupati mensili, tasso di disoccupazione stabile al 5%) e dal mercato immobiliare.
I consumi hanno invece rallentato nel quarto trimestre, nonostante il miglioramento del mercato del lavoro e il calo del prezzo della benzina: i dati di gennaio affermano come la frenata di fine anno 2015 (da + 3% nella stagione estiva al + 2,2% nel quarto trimestre) non dovrebbe essere duratura, e già a gennaio è possibile riscontrare una lieve accelerazione (con previsione per l’intero primo trimestre di un incremento del 3%). La variazione nella ricchezza finanziaria è esclusivamente attribuibile alla correzione in essere sui mercati azionari.
Come anticipato, segnali positivi sono emersi anche dal mercato immobiliare, con la spesa per gli investimenti residenziali che ha fornito un contributo dello 0,3 per cento alla crescita nel 2015, e dovrebbe contribuire almeno in identica proporzione nel 2016. Il settore degli investimenti residenziali pesa oggi il 3,4 per cento del Pil, in aumento di 1 punto percentuale rispetto al minimo del 2010. Cantieri in aumento, vendite in crescita, incremento del costo degli affitti, sono solo alcuni degli altri aspetti di positività del comparto.
Anche alla luce di quanto riaffermato, a nostro giudizio lo scenario di ripresa economica statunitense rimane comunque piuttosto positivo: eventuali margini di debolezza già manifestatisi nel manifatturiero (e non solo) sono infatti potenzialmente controbilanciati da altri settori, mentre gli elementi di turbolenza internazionale (azionario, petrolio, ecc.) possono porre rischi effettivi per la crescita nordamericana solo se sono molto protratti nel tempo.
In ottica Fed, quel che sembra più probabile è una pausa nel rialzo dei tassi di interesse di riferimento dell’istituto monetario federale, nell’attesa che i mercati possano assestarsi. È altresì possibile che la pausa possa riguardare l’intero primo semestre, per poi far ripartire la crescita nella seconda parte dell’anno. Confermiamo pertanto la view di uno o due rialzi da qui al 31 dicembre 2016.
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