BCE stabilisce fine del quantitative easing
In questi tempi di tassi di interesse straordinariamente bassi e di retoriche comunicative spesso non facilmente decifrabili, finalmente l’ultimo meeting della Banca centrale europea (BCE) dello scorso 14 giugno si è concluso con un messaggio abbastanza trasparente sul futuro della politica monetaria della zona euro.
Nel caso in esame, infatti, la banca è stata molto più chiara del previsto, dichiarando quando ritiene di ridurre il suo programma di acquisto di titoli, noto anche come “quantitative easing”, o QE. L’istituto monetario guidato da Mario Draghi ha infatti specificato che cesserà metà del suo ritmo di acquisti mensili (da 30 a 15 miliardi di euro) tra settembre e dicembre, prima di cessare del tutto il supporto monetario dal 1 gennaio 2019.
Nelle sue dichiarazioni, la BCE ha anche affermato di attendersi che i tassi di interesse rimarranno dove sono (cioè, a zero per il tasso di rifinanziamento del benchmark, a -0,4% per i depositi bancari presso la BCE) “almeno fino all’estate del 2019”, se non più tardi. Mario Draghi, il presidente della banca, ha sottolineato che la guida al quantitative easing e ai tassi di interesse dipende dagli eventi, lasciando così la libertà alla banca di cambiare rotta se lo ritiene opportuno.
Il graduale tapering del QE è un segnale che la BCE considera l’inflazione su un percorso sostenibile. L’inflazione calcolata sulle variazioni dei prezzi al consumo è infatti salita all’1,9% a maggio, in linea con l’obiettivo della banca del 2%, o appena sotto. Gran parte dell’aumento riflette l’incremento dei prezzi del petrolio, ma la banca sta attribuendo maggior peso anche ai segnali di una ripresa dei costi interni, compresi i salari. Sebbene la crescita del PIL si sia ridotta nel primo trimestre del 2018 allo 0,4%, dallo 0,7% in ciascuno dei cinque trimestri precedenti, la banca ritiene che gli ultimi indicatori puntino ancora a un solido tasso di espansione produttiva.
La maggior parte degli economisti si aspettava tale annuncio sull’evoluzione del programma di acquisto di attività, ma non si attendeva una simile chiarezza (o quasi) sul fronte della guidance dei tassi di interesse. L’euro è sceso di oltre l’1% rispetto al dollaro nelle ore successive all’annuncio, con il punto di vista del consenso della BCE che pareva fosse orientato per un aumento dei tassi nel secondo trimestre del 2019. Ora sembra invece che ci sia una possibilità che i tassi non possano aumentare prima che il mandato di Draghi termini, a ottobre del prossimo anno.
In realtà, tuttavia, l’annuncio contiene qualcosa di utile sia per falchi che per le colombe. Alcuni stati membri, in particolare la Germania, sono infatti preoccupati che le loro economie possano iniziare a surriscaldarsi, e da un po’ di tempo si stanno agitando per una politica monetaria più stretta. Altri, dove c’è più evidenza di capacità inutilizzata, sono stati meno acuti. Anche le prospettive economiche globali sono diventate meno certe. Sebbene Draghi abbia affermato che l’impatto diretto delle tariffe americane in acciaio e alluminio sarebbe in realtà limitato, un’intensificazione della guerra commerciale potrebbe avere effetti significativi.
E solo il mese scorso, peraltro, l’incertezza politica del nostro Paese stava per sconvolgere i mercati finanziari. Draghi ha parlato poco del suo Paese d’origine a margine del meeting BCE, salvo notare che la volatilità è diminuita e che non ha visto segni significativi di contagio. Ma quelli preoccupati per i rischi possono trarre conforto dall’aspettativa che i tassi di interesse rimarranno invariati per un anno o più. Con questo attento compromesso, Draghi ha dimostrato ancora una volta che sarà difficile allontanarsi da tale prospettiva.
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