Nei precedenti articoli sono state descritte le caratteristiche dei titoli di Stato e delle obbligazioni, strumenti finanziari rivolti tradizionalmente ai risparmiatori più prudenti e con minori aspettative di remunerazione dell’investimento. E’ venuto ora il momento di parlare delle azioni societarie, le quali costituiscono strumenti a reddito variabile, in quanto la remunerazione (in termini di dividendo e di capital gain) è ancorata ai risultati conseguiti dalla società. Inoltre, a differenza degli strumenti a reddito fisso, esse non prevedono una data di restituzione del capitale investito e anzi non vi è neppure la certezza del rimborso, in quanto le azioni costituiscono titoli di partecipazione al capitale di rischio e sono quindi esposte per prime alle perdite e all’eventuale default della società.
Senza entrare nel dettaglio, esistono diverse tipologie di azioni (ordinarie, privilegiate, di risparmio, etc.) che si contraddistinguono per il differente bilanciamento esistente tra diritti amministrativi (in primo luogo il riconoscimento o meno del diritto di voto nell’assemblea societaria) e diritti patrimoniali (partecipazione agli utili) riconosciuti all’azionista. Dal punto di vista fiscale, per il tipico risparmiatore privato che detiene una quota azionaria limitata (“non qualificata”), le due fonti di reddito derivanti dal possesso di titoli azionari (dividendi e i capital gain), sono assoggettate ad una ritenuta alla fonte a titolo di imposta pari al 12,50 %.
Passando ora agli aspetti valutativi, il risparmiatore che voglia investire in azioni societarie deve rispondere preliminarmente a due interrogativi:
quali azioni comprare e/o quali vendere
quando effettuare l’operazione
La risposta alla prima domanda può essere cercata in quella che viene definita come “analisi fondamentale”, la quale si focalizza sui dati gestionali di bilancio della società emittente, al fine di capire se il prezzo di mercato dell’azione, in una dato momento, rispecchia o meno il valore “teorico” che il titolo dovrebbe avere, dati i risultati gestionali e la situazione finanziaria della società emittente. In altre parole, se il prezzo di un’azione deve essere proporzionato alla capacità di quest’ultima di garantire dividendi e capital gain elevati (i quali dipendono dai risultati di bilancio dell’impresa), l’analisi fondamentale mi permette di capire quali titoli risultano al momento sottovalutati o sopravvalutati dal mercato, rispetto alla loro capacità di generare dividendi e guadagni di capitale e di conseguenza scegliere quali acquistare/vendere.
Al secondo quesito è possibile rispondere con l’analisi tecnica, attraverso la quale si studia l’andamento del prezzo dei titoli azionari nel tempo, al fine di inviduare “comportamenti ciclici” che consentano di prevedere il prezzo futuro. L’obiettivo è quello di vendere le azioni che si hanno in portafoglio nel momento in cui il loro prezzo sul mercato tocca il livello più elevato, e, viceversa, di acquistare i titoli quando hanno raggiunto il loro valore minimo sul mercato.
Come si può vedere l’investimento in titoli azionari comporta la necessità di considerare un numero elevato di variabili, relative sia alla singola impresa emittente, sia al contesto macroeconomico nazionale e mondiale. Eventi eccezionali, avvenuti nel corso dell’ultimo decennio (caduta delle torri gemelle e crisi finanziaria) hanno ridotto in modo anomalo il rendimento medio reale degli investimenti in titoli azionari, specie quelli appartenenti al settore finanziario.
Mirco Gazzera
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