I cinque parametri di Maastricht (parte 1)

I cinque parametri di Maastricht
Nel 1993, dopo la crisi dell’Inghilterra e dell’Italia e l’uscita di quest’ultima dal sistema monetario europeo, stava per andare in crisi anche la Francia, mettendo in discussione anche l’esistenza del sistema monetario stesso. Questo, quali implicazioni comporta? Nel 1993 la fascia di oscillazione dei cambi fu ampliata come norma al + o – 15%, implicando una difesa dei cambi con una fascia molto più ampia. Questa situazione di compromesso nasce quindi dall’esigenza di tenere in piedi una costruzione che ha come obiettivo quello di arrivare alla costituzione di una moneta unica. In Italia, nei vent’anni di vita del sistema monetario, ci sono susseguite vicende abbastanza delicate che hanno portato alla svalutazione della lira e conseguentemente all’uscita dell’Italia dagli accordi di cambio nel 1992; questo significò che l’Italia lasciò fluttuare la propria moneta. Inizialmente, l’dea fu quella di lasciar fluttuare la moneta per 2 o 3 settimane in modo tale da capire quale potesse essere il nuovo modello, per poi rientrare. Ma questo rientro avverrà solo 4 anni più tardi nel 1996 perché per rispettare i 5 parametri di Maastricht la lira doveva rispettare la regola di adesione dal almeno due anni al sistema monetario europeo. E se non fosse entrata nel 1996, non avrebbe chiaramente potuto entrare nel UEM il 01/01/1999.
Oggi, non esiste più il sistema monetario europeo, ma l’Unione Monetaria Europea (UEM). Ma come può uno stato entrare a far parte dell’UEM se prima non apparteneva al Sistema Monetario Europeo? Subito dopo la nascita dell’UEM sono nati gli accordi europei di cambioII, che sono molto più semplici in termini di funzionamento. L’adesione agli accordi di cambio è volontaria, ma la permanenza da almeno due anni agli accordi di cambioII, è uno dei requisiti fondamentali per entrare nell’UEM. Ergo, questi accordi europei di cambioII si rivolgono potenzialmente a tutti i Paesi che fanno parte dell’Unione Europea, ma non dell’UEM. Ma come funzionano? La banca centrale del Paese in questione, deve controllarle oscillazioni del cambio della singola valuta nei confronti dell’euro. Il meccanismo di intervento è quindi del tutto analogo ad un sistema di funzionamento a cambi fissi nei confronti del dollaro, ma qui la moneta di riferimento è l’euro, stabilendo una fascia di oscillazione massima del + o – 15%. Attualmente, i Paesi che aderiscono al sistema di accordi di cambio II sono: Lituania, Lettonia e Danimarca.

trattato_maastrichtNel 1993, dopo la crisi dell’Inghilterra e dell’Italia e l’uscita di quest’ultima dal sistema monetario europeo, stava per andare in crisi anche la Francia, mettendo in discussione anche l’esistenza del sistema monetario stesso. Questo, quali implicazioni comporta? Nel 1993 la fascia di oscillazione dei cambi fu ampliata come norma al + o – 15%, implicando una difesa dei cambi con una fascia molto più ampia. Questa situazione di compromesso nasce quindi dall’esigenza di tenere in piedi una costruzione che ha come obiettivo quello di arrivare alla costituzione di una moneta unica. In Italia, nei vent’anni di vita del sistema monetario, ci sono susseguite vicende abbastanza delicate che hanno portato alla svalutazione della lira e conseguentemente all’uscita dell’Italia dagli accordi di cambio nel 1992; questo significò che l’Italia lasciò fluttuare la propria moneta. Inizialmente, l’dea fu quella di lasciar fluttuare la moneta per 2 o 3 settimane in modo tale da capire quale potesse essere il nuovo modello, per poi rientrare. Ma questo rientro avverrà solo 4 anni più tardi nel 1996 perché per rispettare i 5 parametri di Maastricht la lira doveva rispettare la regola di adesione dal almeno due anni al sistema monetario europeo. E se non fosse entrata nel 1996, non avrebbe chiaramente potuto entrare nel UEM il 01/01/1999.Oggi, non esiste più il sistema monetario europeo, ma l’Unione Monetaria Europea (UEM). Ma come può uno stato entrare a far parte dell’UEM se prima non apparteneva al Sistema Monetario Europeo? Subito dopo la nascita dell’UEM sono nati gli accordi europei di cambioII, che sono molto più semplici in termini di funzionamento. L’adesione agli accordi di cambio è volontaria, ma la permanenza da almeno due anni agli accordi di cambioII, è uno dei requisiti fondamentali per entrare nell’UEM. Ergo, questi accordi europei di cambioII si rivolgono potenzialmente a tutti i Paesi che fanno parte dell’Unione Europea, ma non dell’UEM. Ma come funzionano? La banca centrale del Paese in questione, deve controllarle oscillazioni del cambio della singola valuta nei confronti dell’euro. Il meccanismo di intervento è quindi del tutto analogo ad un sistema di funzionamento a cambi fissi nei confronti del dollaro, ma qui la moneta di riferimento è l’euro, stabilendo una fascia di oscillazione massima del + o – 15%. Attualmente, i Paesi che aderiscono al sistema di accordi di cambio II sono: Lituania, Lettonia e Danimarca.


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