Quotazioni dollaro, la debolezza della valuta USA è al termine?
Pur a correnti alterne, e con un trend non certo lineare, il 2017 è stato fortemente contraddistinto da un recupero di forza dell’euro e, di contro, da un contestuale indebolimento del dollaro statunitense. Una tendenza che secondo alcuni analisti non dovrebbe durare ancora a lungo, aprendo – almeno sul breve termine – delle opportunità di rilancio per le quotazioni del dollaro.
Euro sempre più forte
Per saperne di più possiamo compiere un piccolo passo indietro e rammentare quanto si sia modificato il tasso di cambio tra le due monete, passando da 1,05 di inizio anno a un livello intorno a 1,20. Un euro dunque sempre più forte, che alcune osservazioni danno addirittura in dirittura d’arrivo sul medio termine su soglie difficilmente ipotizzabili fino a pochi mesi fa.
Non tutti gli analisti si dicono però convinti che la strada dell’euro sia, effettivamente, a senso unico. Tra di essi c’è Jaco Rouw, Senior Portfolio manager Global Fixed Income di NN Investment Partners, secondo cui sarebbe errato scommettere ora su un nuovo rafforzamento della valuta unica europea contro il dollaro statunitense. Per Rouw, lo spazio di ulteriore apprezzamento è infatti molto limitato e, di contro, puntare sulla valuta verde potrebbe celare ben più di qualche sorpresa positiva.
Dollaro, indebolimento a fine corsa?
Stando alle elaborazioni compiute da Rouw, nonostante gli evidenti fattori di rischio politico sussistenti negli Stati Uniti e in altre macro aree di primario riferimento internazionale, la fiducia del mercato nelle prospettive economiche globali sembrerebbe avere la meglio. In termini meno sintetici, l’analisi rammenta come – dati previsionali alla mano – la fiducia degli investitori nelle prospettive di una crescita globale e in una politica monetaria accomodante stiano conservando i mercati in una posizione di resilienza dinanzi a rischi politici nazionali e internazionali ben persistenti.
Lo scenario attuale è dunque un contesto ideale per le società con i bilanci solidi, che potrebbero avvantaggiarsi di prospettive favorevoli sugli utili e, dunque, giungere a una distribuzione di dividendi più elevati.
Per l’analista, inoltre, il disordine politico attualmente in essere negli Stati Uniti (che peraltro potrebbe essere acuito da alcuni ulteriori appuntamenti tra settembre e ottobre) sembrerebbe non essere più in grado di impattare negativamente sui mercati finanziari, considerato che quasi nessun effetto Trump sarebbe più stato prezzato. Inoltre, se si osservano i dati previsionali sulla crescita del PIL statunitense per il 2018, si può ben notare come la stima del consensus sia cresciuta di 0,2 punti percentuali dopo le elezioni, toccando quota 2,3 per cento.
È altresì vero che i dati economici risalenti al 2017 hanno più volte sorpreso al rialzo proprio nel mercato degli Stati Uniti e in diversi altri Paesi, così come è vero che le previsioni di crescita del PIL per il 2018 sono cresciute di 0,2 punti percentuali in diverse macro aree. Sembra pertanto – aggiunge l’analista – che le previsioni stabili di crescita del PIL 2018 per gli Stati Uniti siano il risultato del non aver prezzato l’effetto Trump e dell’aver invece considerato i migliori dati economici USA.
Riassumendo, l’analista conclude affermando di non essere convinto che i dati deboli relativi all’inflazione statunitense (sotto gli auspici) e l’incertezza politica (che diverrà, riteniamo, un elemento ricorrente) spingeranno il dollaro al ribasso anche nel prossimo futuro. Tali due sviluppi sono infatti già ritenuti come attesi dal mercato e, dunque, incorporati negli attuali livelli di prezzo, e non solo. In altre parole, il cambio euro dollaro potrebbe già aver attraversato la fase di overshooting e, dunque, lo spazio di ulteriore indebolimento del biglietto verde è piuttosto limitato.
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